In questa pagina mettiamo a disposizione un fac simile dichiarazione di origine preferenziale Word e PDF editabile da compilare e stampare.
Si tratta di un fac simile che può essere utilizzato come esempio di dichiarazione di origine preferenziale.
Dichiarazione di Origine Preferenziale
Nel lessico doganale la dichiarazione di origine preferenziale rappresenta la prova a monte che consente a un prodotto di qualificarsi come originario ai sensi di un accordo di libero scambio. A differenza delle informazioni sul luogo di spedizione, la dichiarazione fotografa il luogo in cui la merce è stata realmente fabbricata o sufficientemente trasformata; soltanto su questo dato reale, e mai sul semplice tragitto logistico, si fonda il diritto a un trattamento tariffario di favore quando il bene varca la frontiera dell’altra parte contraente. Il suo rilascio spetta al fornitore, che la redige su carta intestata a beneficio dell’esportatore, dei broker e, in ultima analisi, delle autorità doganali del Paese di destinazione. Per l’Unione europea lo strumento è disciplinato dal combinato disposto del regolamento (UE) 2015/2447 e, in particolare, dal regolamento di esecuzione 2017/989, che ha aggiornato struttura e contenuti della supplier’s declaration, sia in versione per singola spedizione che, soprattutto, nella forma “a lungo termine” valida al massimo due anni.
Il contesto che giustifica la diffusione di questo documento è l’ampia rete di accordi preferenziali siglata da Bruxelles con oltre trenta partner commerciali, dalla Svizzera al Cile, dal Messico alla Corea del Sud, ognuno dotato di un proprio protocollo sulle regole d’origine.
In concreto ciò significa che, se un esportatore europeo desidera applicare il dazio zero previsto da uno di questi accordi, deve dimostrare alle dogane che il bene è davvero “originario UE” secondo i criteri del protocollo pertinente. Quando l’esportatore non è il produttore diretto, per esempio un trader che rivende componenti acquistati da diversi stabilimenti europei, la sola via per ottenere la prova d’origine è farsi consegnare dal produttore quella dichiarazione. La stessa esigenza sussiste per il produttore che, pur ultimando il bene, impiega materiali non originari: dovrà verificare, con le regole di accumulazione previste dall’accordo, se il livello di lavorazione compiuto nel suo impianto sia sufficiente a conferire l’origine preferenziale.
La sostanza giuridica non è banale. Firmare la dichiarazione implica assumere una responsabilità diretta e solidale verso il fisco del Paese importatore: in caso di controllo ex post, qualora la dogana accerti che i requisiti d’origine non erano soddisfatti, i dazi scontati vengono recuperati con interessi, e l’esportatore può rivalersi sul fornitore che ha emesso la dichiarazione infedele. Ecco perché molti gruppi industriali integrano la materia in programmi di compliance doganale, includendo audit interni e clausole di indennizzo nei contratti di fornitura.
Sul piano redazionale la dichiarazione per singola fornitura si concentra su una spedizione precisa, citando la data della fattura, la descrizione commerciale secondo la nomenclatura combinata ed esplicitando che le merci ivi elencate rispettano le regole d’origine previste dall’accordo X, valido tra l’Unione europea e il Paese Y. Chi sottoscrive deve indicare con chiarezza il territorio considerato ai fini dell’origine (“Unione europea” o, se l’accordo lo richiede, “Stati membri della Comunità”). Nel corpo del testo occorre poi richiamare la norma dell’accordo che giustifica l’origine: in pratica si specifica se il prodotto è stato interamente ottenuto, se ha superato una trasformazione sufficiente che rispetta la regola del cambio di voce doganale, se ha raggiunto la soglia di valore aggiunto o se sono state cumulate fasi produttive svolte in diversi Paesi aventi fra loro accordi compatibili.
La versione a lungo termine (LTSD), largamente utilizzata nelle catene di fornitura automotive e metalmeccaniche, esige qualche attenzione in più: il regolamento 2017/989 impone che vi figurino tre date distinte. La prima è quella di rilascio, che certifica il momento in cui il fornitore assume l’impegno; la seconda è la data di inizio periodo, che non può precedere di oltre dodici mesi la data di rilascio; la terza è la data di fine periodo, che non può andare oltre ventiquattro mesi dal rilascio.
Questi limiti temporali tutelano entrambe le parti: il fornitore assicura la stabilità della prova d’origine su un orizzonte congruo, mentre l’esportatore ha il tempo di emettere molteplici dichiarazioni in fattura o certificati di circolazione EUR.1 senza dover richiedere ogni volta nuova documentazione. Qualora, nel corso del biennio, muti la composizione di un prodotto o si modifichi il criterio d’origine, il fornitore è tenuto a informare immediatamente il cliente, revocando o aggiornando la dichiarazione.
La compilazione materiale avviene su carta intestata o modulo elettronico con firma digitale, secondo le prassi interne di ciascuna azienda; in ogni caso, l’intestazione deve consentire l’identificazione univoca del firmatario. L’agente doganale che, in fase d’esportazione, controlla il fascicolo, verificherà soprattutto due requisiti formali: la presenza della corretta formula di impegno, redatta nella lingua stabilita dall’accordo o tradotta in una delle lingue ufficiali dell’UE, e la corrispondenza fra i codici doganali indicati nella dichiarazione e quelli riportati sulla fattura commerciale. Una discordanza o un refuso possono già far scattare il sospetto di dichiarazione viziata, con conseguente richiesta di prove aggiuntive o, nei casi più gravi, con il blocco della dichiarazione stessa.
Sul versante dell’esportatore i documenti da conservare sono molteplici: copia della dichiarazione di origine preferenziale, schede tecniche di produzione, distinte base che consentano di ricostruire la percentuale di valore aggiunto UE, certificati d’origine non preferenziale (quando necessari per miscelare prove diverse), oltre, ovviamente, alle fatture di acquisto e vendita. Questo dossier dovrà essere archiviato per almeno cinque anni, ma alcuni accordi, come quello con la Corea del Sud, prevedono tempi di conservazione più lunghi. L’assenza o l’incompletezza della dichiarazione, in sede di verifica a posteriori, spalanca la strada alla revisione dell’accertamento doganale, con recupero dei dazi e sanzioni.
Il tema non riguarda solo l’abbattimento dei dazi. La dichiarazione preferenziale incide anche sui controlli di sicurezza previsti dal codice doganale dell’Unione: i prodotti che godono di origine preferenziale spesso sono inseriti in canali di sdoganamento semplificato, perché l’Unione ritiene tali merci meno a rischio rispetto a beni sprovvisti di chiara tracciabilità produttiva. Per molte PMI l’emissione corretta di questo documento diventa dunque requisito di competitività, poiché riduce i tempi di imbarco e consente di prescindere dal certificato EUR.1, che in alcuni Paesi richiede un passaggio fisico in dogana e costi di bollatura. Nel sistema REX, utilizzato per gli accordi con Canada, Giappone e Regno Unito, l’esportatore può auto-certificare l’origine direttamente in fattura se già in possesso della LTSD del fornitore; ciò dimostra quanto il documento ne costituisca, per così dire, la pietra d’angolo.
Le criticità emergono soprattutto quando i flussi di approvvigionamento sono eterogenei. Il rischio tipico è quello di confondere merci che, pur avendo stessa descrizione commerciale, provengono da lotti differenti, alcuni dei quali non possiedono più l’origine preferenziale, magari a causa di un cambio fornitore del subappaltatore, con conseguente rilascio di dichiarazioni errate “per attrazione”. Gli audit interni devono quindi includere la verifica di coerenza fra dichiarazioni e numeri di lotto o, in loro assenza, fra dichiarazioni e range temporali di produzione. Per supply chain che integrano magazzini con scarsa tracciabilità, le aziende più strutturate impiegano software di trade compliance in grado di “bloccare” la generazione di una fattura con dichiarazione d’origine se manca il riferimento incrociato a una LTSD valida.
L’ultimo passaggio riguarda il linguaggio da utilizzare nel documento. Gli accordi indicano formule standard, ma il regolamento 2017/989 ne consente l’adattamento purché non si alteri il senso giuridico. In sintesi, occorre dichiarare che i prodotti “possono essere considerati originari” del territorio specificato “ai fini dell’applicazione delle disposizioni in materia di preferenze tariffarie” contenute nell’accordo citato. L’uso di forme dubitative o condizionali, per esempio a nostro avviso le merci dovrebbero poter essere considerate originarie, non è ammesso, perché trasmette un’incertezza incompatibile con la natura cogente dell’impegno.

Fac Simile Dichiarazione di Origine Preferenziale Word
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Modulo Dichiarazione di Origine Preferenziale PDF Editabile
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