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Recesso Appaltatore Contratto Appalto Privato
Il contratto di appalto tra privati, disciplinato dagli articoli 1655 e seguenti del Codice civile, presenta alcune peculiarità rispetto ad altri contratti di durata, in particolare per quanto riguarda la possibilità di recedere unilateralmente. La facoltà di recesso, infatti, è un istituto di ampia portata che consente di porre fine al vincolo contrattuale con una semplice manifestazione di volontà della parte che vi ha interesse. Nel Codice civile si rinvengono disposizioni generali (articolo 1373) e norme specifiche dedicate all’appalto (articolo 1671 per il recesso ad nutum del committente e articolo 1660 per le variazioni di progetto), che delineano in modo organico i presupposti, le conseguenze e i limiti di questa facoltà. La dottrina e la giurisprudenza hanno contribuito in maniera determinante a definirne l’ambito di applicazione, nonché i rapporti con l’istituto della risoluzione per inadempimento.
La prima questione da considerare concerne la natura del recesso, che produce effetti dal momento in cui viene esercitato, senza retroagire al momento della conclusione del contratto. L’articolo 1373 del Codice civile, norma di carattere generale sul recesso convenzionale, non fornisce una definizione compiuta, ma stabilisce che, qualora a una delle parti sia attribuita la facoltà di recedere, questa può essere esercitata finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione. Tale regola, tuttavia, subisce una deroga proprio nell’ambito dell’appalto, in virtù di quanto disposto dall’articolo 1671, il quale attribuisce al committente un diritto di recesso ad nutum anche quando l’esecuzione dell’opera o del servizio sia già iniziata. È evidente come l’articolo 1671 abbia portata ampia e miri a tutelare l’interesse del committente, che può sopravvenire nel corso dell’esecuzione dell’opera a causa di ragioni sopraggiunte, mutamenti di volontà o sfiducia nei confronti dell’appaltatore. La ragione di questa previsione va rintracciata nel carattere fiduciario che lega le parti nel contratto di appalto. Per eseguire correttamente un’opera o un servizio, committente e appaltatore devono operare in un clima di reciproca fiducia. Quando tale fiducia viene meno, o quando il committente non intende più proseguire nell’iniziativa, la legge gli consente di far cessare il vincolo anche senza che vi sia un’inadempienza grave dell’altra parte. Tuttavia, a tutela dell’appaltatore, l’articolo 1671 prevede che il committente debba indennizzarlo, tenendolo indenne delle spese sostenute e dei lavori già eseguiti, oltre a riconoscergli il mancato guadagno che avrebbe realizzato portando a termine la prestazione. La dottrina e la giurisprudenza rilevano come tale previsione costituisca un contrappeso all’ampia libertà del committente di ritirarsi dal contratto, poiché di fatto impone di corrispondere una somma che copra sia i costi effettivi già sostenuti sia l’utile presumibile dell’appaltatore.
Nel caso in cui il recesso sia motivato dal comportamento inadempiente dell’appaltatore, si apre uno scenario che la Cassazione, con la sentenza numero 6814 del 1998, ha chiarito. Il giudice di legittimità ha sancito che il committente può sempre recedere in qualunque momento, anche qualora la sfiducia verso l’appaltatore derivi da una situazione di presunto inadempimento. Diversamente dalla risoluzione per inadempimento di cui all’articolo 1453 del Codice civile, infatti, l’esercizio del recesso ad nutum non necessita di un previo accertamento giudiziale del rilievo dell’inadempimento. Ciò che conta è la volontà del committente di porre fine al contratto, fermo restando che, se lo scopo è far valere un comportamento colpevole dell’appaltatore e ottenere il risarcimento del danno, sarà poi necessario verificare la gravità e l’effettiva incidenza dell’inadempimento. L’articolo 1671, quindi, autorizza il committente a non fornire giustificazioni al momento del recesso, ma non gli impedisce di pretendere in un momento successivo il risarcimento dei danni qualora l’appaltatore abbia effettivamente dato causa all’interruzione del rapporto. La Cassazione, con la sentenza numero 11642 del 2003, si è spinta oltre, chiarendo come la somma dovuta dal committente a titolo di indennizzo possa essere addirittura annullata o fortemente ridimensionata quando sia accertato un inadempimento di tale gravità da generare un danno nei confronti del committente stesso. In tal modo, se il comportamento scorretto dell’appaltatore ha causato un pregiudizio economico di entità pari o superiore all’indennizzo che questi avrebbe dovuto ricevere, l’obbligo di corrispondere quanto previsto dall’articolo 1671 si riduce fino a venire meno. Si tratta di una ricostruzione incentrata sul principio della compensazione tra debiti e crediti contrapposti, nonché sul concetto che la parte inadempiente non possa trarre vantaggio da una situazione originata da un proprio comportamento colpevole.
Una differenza importante rispetto all’istituto della risoluzione per inadempimento deve essere sempre tenuta presente. La risoluzione, disciplinata dal combinato disposto degli articoli 1453 e seguenti del Codice civile, richiede l’accertamento giudiziale dell’inadempimento colpevole. Nel recesso, invece, l’efficacia deriva da un atto unilaterale della parte recedente e non si ha un accertamento preliminare dell’inadempimento. A conferma di ciò, la giurisprudenza precisa che, in presenza di una domanda giudiziale di risoluzione, non è più possibile per il committente avvalersi del recesso ex articolo 1671, trattandosi di strumenti di tutela in parte diversi e non sempre compatibili tra loro.
Un ulteriore profilo di rilevanza pratica riguarda gli effetti che il recesso esplica sulla porzione di opera già eseguita. Dal momento in cui il recesso viene comunicato, cessano gli obblighi di prosecuzione dell’attività da parte dell’appaltatore, ma la parte di opera già compiuta diviene proprietà del committente. Ciò comporta che, in caso di vizi o difformità riscontrati su quanto è stato realizzato prima che intervenisse il recesso, il committente possa chiederne la sistemazione o il risarcimento del danno, non essendo esentato dal diritto di contestare l’inadempimento dell’appaltatore.
Merita attenzione anche l’ipotesi in cui, nel corso dell’esecuzione, emergano variazioni al progetto originario di notevole entità. L’articolo 1660 del Codice civile, infatti, considera la possibilità che si renda necessario modificare il piano dei lavori in modo significativo. In tal caso, si apre per l’appaltatore un diritto di recesso quando l’ammontare delle variazioni superi il sesto del prezzo complessivo previsto dal contratto. La disposizione consente all’appaltatore di liberarsi dal vincolo senza subire le conseguenze di un impegno economico e organizzativo sensibilmente diverso da quello pattuito al momento della stipula. Al contempo, qualora le variazioni siano troppo gravose, il committente stesso può recedere dal contratto, dovendo però riconoscere un equo indennizzo all’appaltatore. Questo quadro normativo mira a equilibrare le posizioni: se l’opera necessita di rilevanti adeguamenti, il committente ha la facoltà di interrompere i lavori, ma è tenuto a compensare l’appaltatore per il tempo e le risorse già investite, così da non imporre a quest’ultimo un onere sproporzionato dovuto a mutate esigenze del committente o a eventi imprevedibili.
La Cassazione, con la sentenza numero 8749 del 1993, ha chiarito che rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 1660 non solo le variazioni dovute a ripensamenti soggettivi, ma anche quelle imposte dalla concreta esecuzione dell’opera, come quando si realizza che il progetto originario non è praticabile se non introducendo interventi che mutano in modo sostanziale il disegno concordato. In siffatta ipotesi, le parti possono scegliere di portare avanti l’opera apportando le modifiche necessarie, stabilendo un nuovo equilibrio contrattuale, oppure esercitare il recesso qualora l’adeguamento richiesto risulti eccessivamente gravoso e non più rispondente all’originaria pianificazione.
In definitiva, il recesso nel contratto di appalto tra privati si configura come un potere unilaterale disciplinato in modo rigoroso dalle disposizioni del Codice civile e dalle pronunce della giurisprudenza, che ne determinano l’esatta portata. La peculiarità del recesso ad nutum, prevista dall’articolo 1671, consiste nel legittimare il committente a interrompere il rapporto anche se l’esecuzione dell’opera è già iniziata, a condizione che l’appaltatore riceva un congruo indennizzo per le spese affrontate, per i lavori già compiuti e per il mancato guadagno. L’equilibrio tra la tutela del committente, che potrebbe aver bisogno di bloccare i lavori per ragioni sopraggiunte, e quella dell’appaltatore, che non può essere penalizzato oltre misura, si realizza proprio grazie a queste previsioni. Al contempo, resta ferma la possibilità di chiedere il risarcimento dei danni quando l’altra parte non abbia rispettato gli obblighi contrattuali con la dovuta diligenza o abbia dato luogo a ritardi e difformità. Si tratta di un meccanismo che riflette l’importanza, tipica dell’appalto, di una collaborazione solida e trasparente, resa necessaria dalla complessità dell’esecuzione e dalla fiducia reciproca che dovrebbe caratterizzare il rapporto tra committente e appaltatore

Fac Simile Recesso Appaltatore Contratto Appalto Privato Word
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