In questa pagina mettiamo a disposizione un fac simile remissione del debito Word e PDF editabile da compilare e stampare.
Si tratta di un fac simile che può essere utilizzato come esempio di remissione del debito.
Caratteristiche della Remissione del Debito
La remissione del debito consiste in una rinuncia, da parte del creditore, al proprio diritto di ricevere il pagamento dovuto. Questa rinuncia, che si configura come un vero e proprio atto di volontà, determina l’estinzione dell’obbligo in capo al debitore non appena la decisione viene comunicata. Per comprendere a fondo questa figura giuridica è importante esaminare i suoi presupposti, gli effetti che produce, le caratteristiche soggettive e oggettive che la disciplinano, nonché gli eventuali limiti imposti dalla legge. All’interno dell’ordinamento civile, la remissione del debito si colloca infatti tra i mezzi di estinzione dell’obbligazione diversi dall’adempimento, insieme, ad esempio, alla compensazione o alla novazione.
Il fulcro di questa fattispecie risiede nella decisione del creditore di liberare il proprio debitore. Ciò è possibile anche se quest’ultimo, di fatto, non ha adempiuto alla prestazione, dal momento che la remissione non richiede il pagamento di alcuna somma né l’esecuzione di alcuna controprestazione. Di fronte a un atto di remissione, il debitore, una volta ricevutane comunicazione, si ritrova libero da ogni obbligo, e di norma non può essere più costretto ad adempiere. La comunicazione, inoltre, assume un valore decisivo. Fino a quando non giunge a destinazione, il creditore può revocare la propria decisione; una volta pervenuta al debitore, invece, la remissione diviene irrevocabile, e il creditore non può più tornare indietro. In ogni caso, benché non vi sia un obbligo formale di redigere l’atto di remissione in forma scritta, è sempre consigliabile che il creditore dichiari la propria volontà di rinunciare al debito in maniera inequivocabile e documentabile, così da poterla provare in caso di future controversie.
Per quanto ciò possa apparire inusuale, l’ordinamento consente al debitore di opporsi alla remissione, dichiarando espressamente di non voler godere della liberazione. Questa evenienza, sebbene rara, trova la sua ragione d’essere nella volontà di alcuni debitori di adempiere ugualmente al proprio dovere, magari per una questione di orgoglio, o per evitare sensi di colpa, o anche per motivi di opportunità che esulano dalla semplice relazione tra creditore e debitore. Il codice civile prevede espressamente questo potere di opposizione: l’articolo 1236 stabilisce che la remissione è efficace non appena dichiarata al debitore “salvo che questi dichiari in un congruo termine di non volerne approfittare”. Nel corso del tempo, la giurisprudenza e la dottrina si sono interrogate sulla natura di questa facoltà di opposizione, formulando ipotesi diverse. Secondo una prima teoria, la remissione opera come una condizione risolutiva: il debito si estingue immediatamente con la dichiarazione del creditore, ma poi può “rivivere” nel caso in cui il debitore rifiuti di approfittarne. Secondo un’altra tesi, invece, il debito non si estingue subito, bensì rimane sospeso in attesa che decorra il congruo termine senza che il debitore dichiari la propria opposizione. A prescindere da come si preferisca inquadrare giuridicamente la fattispecie, è chiaro che l’opposizione del debitore costituisce un’eccezione alla regola per cui la remissione determina automaticamente la liberazione dall’obbligo.
Un aspetto che aiuta a comprendere ulteriormente la remissione del debito è la distinzione tra remissione espressa e remissione tacita. Nella prima ipotesi, la volontà del creditore di rinunciare al pagamento viene manifestata in modo chiaro e diretto, ad esempio attraverso una dichiarazione esplicita o tramite uno scritto. Nella seconda, invece, si desume da un comportamento del creditore che risulta incompatibile con la volontà di esigere la prestazione. In tal caso, occorrerà valutare le singole circostanze e interpretare il comportamento tenuto dal titolare del credito. Pur essendo più incerta sul piano probatorio, la remissione tacita è perfettamente legittima e produce gli stessi effetti della remissione espressa, sempre che sia chiaro ed evidente l’intento del creditore di rinunciare.
Un altro elemento da considerare riguarda le conseguenze accessorie della remissione sulle garanzie che assistono il credito, siano esse reali come pegni e ipoteche, o personali come la fideiussione. Una volta estinto il debito principale, anche queste garanzie vengono meno, perché esse esistono per garantire il credito e cadono in automatico se questo cessa di esistere. Non è però vero il contrario: la rinuncia alla garanzia non implica necessariamente la remissione del debito, perché in tal caso è il singolo vincolo accessorio a venir meno, mentre il rapporto di obbligazione principale continua a sussistere.
È poi opportuno operare una distinzione fra la remissione del debito e la rinuncia al credito. La prima ha come effetto tipico l’estinzione dell’obbligazione e si colloca, come detto, tra i modi di estinzione del debito. La seconda, invece, può talvolta produrre effetti diversi. Ad esempio, se più creditori vantano un credito solidale nei confronti di un debitore e uno di questi vi rinuncia, non si estingue l’intero rapporto obbligatorio, bensì si determina un accrescimento della quota di credito in capo agli altri creditori. La remissione, intesa nel senso più stretto, si caratterizza dunque per la soppressione totale o parziale dell’obbligazione, senza la necessità di coinvolgere in modo determinante la volontà del debitore.
Sul versante soggettivo, la possibilità di compiere un atto di remissione dipende dalla capacità del creditore di disporre dei propri beni e dei propri diritti. Il codice civile, con l’articolo 774, stabilisce che non possono donare coloro che non hanno la piena capacità di disporre del proprio patrimonio, riferendosi espressamente alle donazioni ma, in senso ampio, anche ad altri negozi giuridici che comportino la diminuzione del patrimonio, come la remissione del debito. Chi si trova in condizioni di incapacità, sia naturale che legale, non può compiere atti di straordinaria amministrazione, e rinunciare a un credito, parziale o totale che sia, rientra senza dubbio in tale tipologia di atti, poiché comporta una modifica del patrimonio del soggetto che lo compie.
Dal punto di vista oggettivo, la remissione può riguardare tutti i crediti che abbiano la disponibilità patrimoniale, con l’eccezione di quelli che la legge riconosce come indisponibili o non cedibili. Tra questi vanno ricordati i crediti di natura alimentare, sottoposti a un regime speciale che ne esclude la possibilità di cessione e, per analogia, anche la remissione. L’articolo 447 del codice civile sottolinea infatti che il credito alimentare non può essere ceduto, e inoltre la compensazione non è possibile nemmeno sulle prestazioni arretrate. Allo stesso modo, diritti fondamentali del lavoratore come ferie, riposo settimanale e retribuzioni che scaturiscono da norme inderogabili non possono formare oggetto di rinuncia, in forza del dettato dell’articolo 2113 del codice civile. Esiste pertanto una linea di demarcazione molto precisa tra i crediti patrimoniali disponibili, che possono essere oggetto di remissione, e i crediti di natura personale e indisponibile, per i quali la legge vieta qualsiasi forma di rinuncia.
La questione della remissione può porsi anche in riferimento a debiti futuri. La dottrina e la giurisprudenza si sono interrogate sulla legittimità di un atto che rinunci a un diritto di credito che ancora non si è concretizzato. In linea di massima, il nostro ordinamento non esclude tale facoltà, sostenendo che se è consentito stipulare contratti aventi a oggetto beni futuri, come risulta dall’articolo 1348 del codice civile, non vi è di per sé un motivo per negare la possibilità di rinunciare a un credito che sorgerà successivamente.
Nonostante il tratto più caratterizzante della remissione del debito risieda nella volontà unilaterale del creditore, gli effetti liberatori si concretizzano soltanto al momento in cui il debitore riceve la comunicazione, e quest’ultimo mantiene, come già evidenziato, la facoltà di opporsi dichiarando di non volersene avvalere. Il codice non stabilisce un termine fisso entro cui il debitore debba manifestare tale opposizione, ma richiede che lo faccia entro un lasso di tempo “congruo”. L’interpretazione prevalente è che per valutare la congruità si debba tener conto della complessità dell’operazione e della natura del rapporto. In questo modo si evita che una mancata risposta immediata possa costituire automaticamente un’accettazione, e al contempo si dà al debitore la possibilità di riflettere e valutare la propria posizione. Gli effetti della remissione non sono necessariamente integrali. Esiste infatti la possibilità di una remissione parziale, che incide solo su una parte del debito. In questa ipotesi, il debitore si ritrova comunque obbligato a pagare la restante parte, ma con una riduzione dell’importo originario. Anche in tal caso, qualora il debitore volesse opporsi per estinguere integralmente il proprio debito, la sua dichiarazione di rifiuto comporterebbe la persistenza dell’obbligo, senza che la rinuncia parziale produca alcun effetto.
Un ulteriore aspetto da non sottovalutare è l’opportunità di formalizzare la remissione, onde evitare successive contestazioni. Se la rinuncia si manifesta per iscritto, ad esempio tramite atto sottoscritto dal creditore e consegnato al debitore, l’eventuale controversia sulla validità o sull’esistenza stessa dell’atto risulta agevolmente risolvibile. Viceversa, in caso di remissione tacita, spetterà a chi intenda far valere l’intervenuta estinzione del debito dimostrare che il creditore, con il proprio comportamento, ha palesato in modo incontrovertibile l’intenzione di rinunciare. Alcuni comportamenti tipici possono essere interpretati come remissione tacita, come la restituzione di un titolo di credito senza alcuna riserva, ma in ogni situazione occorre sempre esaminare con cura gli elementi di fatto.

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