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Contratto Comodato d’Uso Gratuito Attrezzature di Lavoro
Il contratto di comodato di attrezzature di lavoro è un istituto giuridico che ricade nell’alveo degli articoli 1803 e seguenti del Codice civile, ma nella pratica professionale italiana assume una fisionomia particolare perché interseca in modo diretto le norme di salute e sicurezza poste dal Decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, noto come Testo unico. Parlare di comodato in ambito lavorativo, dunque, significa coniugare due grandi pilastri dell’ordinamento: da un lato la disciplina civilistica della consegna gratuita di un bene con obbligo di restituzione, dall’altro la normativa prevenzionistica che presidia l’integrità psicofisica di chi, quel bene, lo utilizza per produrre valore. Qualsiasi operatore economico che pensi di mettere a disposizione macchinari, gru, piattaforme, carrelli elevatori o altre apparecchiature deve tenere a mente che, accanto al rispetto delle forme e delle obbligazioni tipiche del comodato, si accendono doveri penali amministrativi che travalicano il mero rapporto inter partes e si proiettano sull’interesse pubblico alla tutela dei lavoratori.
Per comprendere fino in fondo la portata del contratto, occorre partire dalla nozione codicistica: il comodante, proprietario o detentore qualificato del bene, consegna la cosa al comodatario per fare in modo che se ne serva per un tempo o per un uso determinato, senza corrispettivo. La gratuità è elemento essenziale; qualora il vantaggio economico del comodante fosse più che marginale, l’accordo perderebbe la veste di comodato e si trasformerebbe in locazione o in appalto di servizi. Nel settore delle attrezzature di lavoro, la gratuità trova giustificazione nella volontà del titolare di controllare l’oggetto, magari per uniformare gli standard di sicurezza fra più cantieri o per diffondere un certo marchio sul mercato, senza però sobbarcarsi la gestione operativa del personale utilizzatore. La gratuità, tuttavia, non elide il regime di responsabilità che l’articolo 2051 del Codice civile pone in capo al custode del bene; di conseguenza il comodatario risponde dei danni cagionati dall’attrezzatura se non prova il caso fortuito, mentre il comodante mantiene responsabilità solidale qualora abbia consegnato una macchina intrinsecamente pericolosa o difettosa.
Il passaggio decisivo avviene quando al contratto civilistico si sovrappone l’impianto del Testo unico. L’articolo 72, collocato nel Titolo III, sancisce che chiunque noleggi o conceda in uso un’attrezzatura di lavoro, e il comodato rientra a pieno titolo in questa fattispecie ,deve acquisire dal datore di lavoro del soggetto utilizzatore una dichiarazione che riporti nome, cognome e mansione dei lavoratori incaricati, attestando che costoro risultano formati conformemente alle prescrizioni degli articoli 36, 37 e 73 e, per le macchine richiamate al comma 5 dell’articolo 73, siano in possesso della specifica abilitazione. Piattaforme di lavoro, gru a torre, gru mobili, gru su autocarro, carrelli elevatori nelle diverse configurazioni, trattori agricoli e forestali, escavatori idraulici e a fune, pale caricatrici, terne, autoribaltabili a cingoli e pompe per calcestruzzo non possono dunque essere consegnati senza che tale dichiarazione sia stata sottoscritta dal datore di lavoro utilizzatore e conservata dal concedente per tutta la durata del prestito. La norma è cogente: la violazione espone il comodante a una sanzione amministrativa compresa fra 921,38 euro e 3316,96 euro, cifra che marca la volontà del legislatore di colpire non tanto l’irregolarità documentale in sé, quanto la potenziale esposizione dei lavoratori a un rischio non governato.
Sul piano contrattuale, questa prescrizione normativa impone di modificare l’articolato standard del comodato: all’interno della sezione dedicata alle condizioni di utilizzo deve essere inserita una clausola con la quale il comodatario si impegna a consegnare, prima del ritiro fisico dell’attrezzatura, la dichiarazione prevista dall’articolo 72. Il comodante, a sua volta, si obbliga a verificarne la completezza formale e a conservarla in copia, preferibilmente in formato digitale con marcatura temporale, così da poterla esibire in sede ispettiva o giudiziaria. L’intero pacchetto documentale – copia del contratto, manuale di uso e manutenzione, certificato CE, registro delle verifiche periodiche, dichiarazione ex articolo 72 – costituisce il fulcro probatorio con cui il proprietario potrà dimostrare di avere osservato la diligenza professionale richiesta dall’articolo 1176 del Codice civile in combinato con l’articolo 15 del Testo unico. Dal punto di vista operativo, la clausola di consegna è strettamente connessa alla questione formativa. L’articolo 73 distingue la formazione di base, imperniata su moduli teorici e pratici, dalla cosiddetta «specifica abilitazione» per le macchine ritenute più critiche. L’Accordo Stato-Regioni del 22 febbraio 2012 ha fissato durate, programmi e modalità di verifica dell’apprendimento: un addestramento di otto, dodici o sedici ore, con verifica pratica finale, che sfocia in un patentino individuale. Il comodante deve accertarsi che i nominativi indicati nella dichiarazione corrispondano a soggetti in possesso di patentino in corso di validità; ciò significa che qualora il periodo di comodato si protragga oltre il quinquennio, il proprietario, in sede di rinnovo del contratto o di proroga, dovrà richiedere attestato di aggiornamento. In caso contrario, si instaurerebbe un concorso di colpa fra datore di lavoro utilizzatore e concedente, con ricadute penali ai sensi dell’articolo 589-bis c.p. qualora dovesse verificarsi un infortunio mortale. La consapevolezza pratica di questi obblighi si traduce in precise scelte redazionali. Un contratto ben strutturato dedica ampio spazio alla descrizione tecnica del bene: marca, modello, matricola, anno di costruzione, eventuali limitazioni d’impiego previste dal costruttore, potenza installata, dispositivi di sicurezza presenti a bordo, storico degli interventi di manutenzione, con riferimento alle scadenze di verifica periodica disciplinate da decreti specifici (si pensi, ad esempio, al DM 11 aprile 2011 per le attrezzature di sollevamento). Una descrizione meticolosa non è esercizio di stile ma garanzia di tracciabilità e, di riflesso, di individuazione delle responsabilità fra le parti.
Un altro nodo riguarda la manutenzione. L’articolo 71 del Testo unico fa ricadere sul datore di lavoro l’obbligo di mantenere l’attrezzatura in condizioni di sicurezza tramite interventi programmati, mentre il proprietario resta obbligato a consegnare il bene «conforme». Quando comodante e comodatario non coincidono, occorre coordinare i due piani: il contratto di comodato normalmente prevede che l’utilizzatore esegua la manutenzione ordinaria, lubrificazione, sostituzione parti di consumo, tarature, e segnali tempestivamente al proprietario guasti o anomalie che richiedano manutenzione straordinaria. Se il danno deriva da uso improprio, il costo dell’intervento farà carico al comodatario; diversamente, resterà a carico del comodante, che ha interesse a mantenere il bene in efficienza per future locazioni o comodati. Per prevenire dispute, molte aziende allegano al contratto un piano di manutenzione pre-compilato dal costruttore e instaurano piattaforme digitali di equipment management, così da conservare in cloud i rapporti di intervento. Sul tema del luogo di utilizzo, la liceità della consegna esige che l’attrezzatura sia installata nel sito indicato nel contratto o in siti equivalenti per caratteristiche di stabilità del terreno, distanza da linee elettriche, portata delle superfici. Un eventuale spostamento senza autorizzazione integra violazione contrattuale e, talvolta, il reato di appropriazione indebita. Per ridurre il rischio di elusione, alcuni comodanti installano sistemi GPS o dispositivi IoT che trasmettono in tempo reale dati di posizione e parametri di utilizzo; la legittimità di tale controllo richiede però di informare preventivamente il comodatario e, se l’utilizzatore è un lavoratore dipendente, di rispettare l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, oggi confluito nel decreto legislativo 151/2015.
La risoluzione anticipata del rapporto è un tema strettamente collegato alla sicurezza. Il comodante può revocare il bene quando emergano esigenze sopravvenute oppure quando l’utilizzatore violi gli obblighi contrattuali. L’inadempimento che più di frequente legittima la risoluzione è la mancata osservanza delle istruzioni d’uso o il mancato rinnovo dell’abilitazione degli operatori. Il contratto deve quindi contemplare la diffida ad adempiere ex articolo 1454 c.c., fissando un termine congruo per rimuovere l’inadempimento e prevedendo, in caso di inerzia, il diritto del proprietario di rientrare in possesso del bene anche mediante accesso ai luoghi di lavoro, previa comunicazione scritta e coordinamento con il datore di lavoro. L’osservanza delle procedure di sicurezza durante il ritiro, specie se la macchina si trova in quota o in ambiente confinato, è essenziale per non trasformare la soluzione del problema contrattuale in nuova fonte di rischio.
La privacy e i segreti industriali rappresentano l’ultima frontiera della negoziazione contrattuale. In un’epoca in cui le macchine racchiudono software proprietario, sensoristica avanzata e know-how di processo, il comodante è legittimato a pretendere la non divulgazione di informazioni confidenziali che i lavoratori potrebbero apprendere durante l’uso. Includere una clausola di riservatezza collegata al decreto legislativo 63/2018, che ha recepito la direttiva UE 2016/943, tutela l’investimento tecnologico e sanziona la violazione con il risarcimento del danno e la risoluzione immediata del contratto. Tale clausola acquista valore strategico soprattutto quando l’attrezzatura sia dotata di firmware aggiornabile da remoto o di algoritmi di intelligenza artificiale che apprendono dai pattern operativi: impedire la copia o la decompilazione del codice preserva il vantaggio competitivo del produttore.

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